lunedì 6 settembre 2010

Estate 1944: distrutta la tranvia dell'alta Versilia

In attuazione del piano di difesa della linea Gotica, studiato dal feld maresciallo Kesselring, comandante delle truppe tedesche in Italia, tutti gli immobili che c’erano a ridosso dei monti di Seravezza, Corvaia e di Ripa, furono fatti saltare in aria da operai della Todt che utilizzarono proiettili di artiglieria, fatti esplodere mediante l’utilizzo di fili elettrici attaccati ad un detonatore. Anche le piante di alto fusto furono tagliate. Questa totale distruzione di edifici e di grosse piante consentì alla truppe tedesche di tenere sotto controllo l’intera zona sottostante dall’alto delle loro trincee, in particolare al momento degli attacchi sferrati dalle truppe alleate.
Saltarono così in aria i fabbricati, sotto il monte Canala e del monte di Ripa e di una parte di Seravezza e di Riomagno, che c'erano aldilà del fiume da dove iniziava la gora dell'acqua e che faceva funzionare la segheria del Salvatori e il molino del Bonci. Furono distrutti i rioni del Ponticello di Seravezza, della Fucina e i paesi di Corvaia e di Ripa. Fu completamente distrutto il deposito delle locomotive a vapore dell’Azienda Tranviaria Alta Versilia che era ubicato alla Centrale, sul retro dell’officina, anch'essa totalmente distrutta, dell’ing. Attilio Cerpelli, famosa per la costruzione di speciali pompe per navi e per le industrie. Furono distrutti tutti i ponti di Seravezza e quello della Centrale. Fu distrutto anche il ponte caricatoio di Forte dei Marmi. Una locomotiva a vapore finì nell’alveo del fiume Serra, nei pressi della segheria del Salvatori, in seguito all’esplosione di una potente carica di dinamite, dopo che per più giorni alcuni soldati tedeschi l’avevano utilizzata come se fosse un giocattolo per scorrazzare in su e giù nel tratto Desiata - fino al ponte del Rossi non più praticabile in quanto oggetto di un attentato dinamitardo operato dai partigiani di Seravezza. Nell’estate del 1944 finì il ciclo storico dell’impiego della locomotiva a vapore in Versilia che era iniziato il 14 gennaio 1916 sui tratti Seravezza – Querceta e Ponte Foggi - Pietrasanta, dalla TEV (Tranvie Elettriche Versiliesi) con tre piccole locomotive a vapore di produzione inglese, in attesa della elettrificazione delle linee di fatto mai avvenuta. La TEV aprì nel 1926 la linea di Arni al trasporto dei blocchi di marmo e delle merci. All’inizio del 1927 iniziò su questa linea a trasportare anche i passeggeri.L’impiego del tram potenziò e migliorò i trasporti in Versilia eseguiti nei secoli passati con diligenze e barrocci trainati dai cavalli, e dei grossi carri trainati da coppie di buoi per quanto riguardava il trasporto dei blocchi di marmo. I lavori che avrebbero richiesto tempi lunghi e ingenti somme di denaro per riparare i mezzi gravemente danneggiati e la sostituzione di quelli messi completamente fuori uso, ritengo che abbiano determinato la scomparsa definitiva della tranvia versiliese, in sostituzione della quale furono impiegati mezzi di trasporto su gomma, in grado di muoversi in spazi più ampi rispetto al più ridotto raggio d’azione dei tram.
Dato il via libera agli autocarri, la loro utilità si rivelò ancor più preziosa e conveniente di quella del trenino dei sassi, specie quando con la costruzione, a partire dagli anni 50, di ardimentose vie scavate sulle ripide rocce del Monte Altissimo e attraverso i ravaneti del monte Costa, gli autocarri potettero arrivare vicino alle cave di marmo, sulla Costa giunsero fin sul piazzale dell’ultima cava. Le nuove vie segnarono la fine di quelle leggendarie “vie a lizza” alcune costruite su progetti di Michelangelo che dal 1518 al 1520 fu sui nostri monti a scavare marmi dai monti donati dalla comunità di Seravezza a Firenze. Lungo tali vie , in disuso da molti anni, sono cresciuti alberi, molta vegetazione e siepi impenetrabili di rovi, motivo per cui tanti tratti non sono più visibili, in quanto il bosco estendendosi si è ripreso la sua striscia di terra che l’uomo a suo tempo gli aveva strappato. Ora su quelle vie vagano le ombre dei lizzatori che da piccolo, quando andavo a cogliere le more nei pressi della Desiata, in fondo ai ravaneti del Trambiserra, vidi curvi e inginocchiati, davanti ai lati e dietro i pezzi legati a cavi dì acciaio che lentamente scendevano a fondovalle, passandosi fra le mani parati insaponati e martini pesi più di cento chili. Si li ricordo col corpo secco e asciutto e tinto dal sole. Erano atleti nel verso senso della parola. Il loro traguardo era
portare il pane a casa e non lucenti coppe o medaglie. Lungo le vie non si vedono più nemmeno le tracce dei tram che ricordo di avere sempre osservato con grande interesse nei minimi particolari, quando la locomotiva con la sua lunga fila di vagoni carica di blocchi di marmo, veniva fermata, tutta sbuffante al Ponticello, davanti al molino del Bonci, per essere rifornita di acqua. Oltre alla locomotiva erano anche i due macchinisti ad attirare la mia attenzione di bimbo, due uomini con una muscolatura eccezionale resa ancora più evidente dall’abbronzatura della loro pelle esposta al sole , al calore del fuoco ed ai vapori della caldaia. Accosto la loro immagine, che ancora mi pare di rivedere, a quella dei due bronzi di Riace, ovviamente senza scudi e lance, ma con in mano i ben più importanti strumenti di lavoro, i soli che l’uomo dovrebbe impugnare nel corso della sua vita terrena per accrescere il proprio benessere e vivere in pace con tutti i suoi simili del mondo. La mia ammirazione per questi uomini e per la locomotiva doveva essere così evidente tanto da indurre un giorno il macchinista Bramanti, a farmi salire sulla cabina di guida. Mi afferrò la mano e con uno strattone mi tirò su. Un calore fortissimo si sprigionava dalla caldaia, al cui interno notai una palla di fuoco che io alimentai con alcune palate di carbon fossile. Congegni, manovelle e tutti i meccanismi interni erano surriscaldati. Da un rubinetto usciva acqua caldissima. Scesi a terra tutto compiaciuto e felice per l’esperienza vissuta, anche se di breve durata, mentre il convoglio si allontanava da Seravezza.

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